Ricerche archeologiche terrestri
IL PROGETTO VINUM E IL TERRITORIO DI LICATA
Nell’ambito del "Progetto Vinum", portato avanti dal dipartimento di Archeologia dell’Università degli studi Siena, in via del tutto sperimentale, ricercatori provenienti da diversi parti del mondo si sono recentemente confrontati sui dati ricavati dallo studio e dall’approfondire gli aspetti legati all’origine e all’evoluzione della viticoltura e al processo di produzione del vino nell’antichità.
Tra questi vi è anche l’archeologo licatese Fabio Amato, direttore del Gruppo Archeologico Finziade, che su autorizzazione della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento, ha scelto nel 2007 come campo d’indagine proprio la Montagna di Licata, un settore che qualche mese dopo fu definito dallo stesso Amato in un articolo apparso in un noto quotidiano regionale dell’8 febbraio 2008, particolarmente interessante per la presenza di un numero considerevole di palmenti, vasche scavate nella roccia e destinate, in un periodo compreso tra il IV e il I secolo a.C., alla pigiatura dell’uva e quindi alla produzione del vino.
Un’ipotesi avvalorata dal riscontro letterario delle fonti antiche che definiscono genericamente la chora akragantina dell’età classica come un importante centro di produzione agricola e soprattutto vitivinicola.
A distanza di 4 anni i risultati definitivi del progetto Vinum sono stati pubblicati sui Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, un volume di oltre 800 pagine, edito dalla casa editrice "All’Insegna del Giglio", che raccoglie anche i dati del progetto licatese, definito nella prefazione dagli autori (Andrea Zifferero, Andrea Ciacci e Paola Rendini) "un lavoro originale che ha portato alla definizione di un quadro coerente e del tutto inedito, riguardante la zona compresa tra Gela ed Agrigento, attraverso l’integrazione di notizie di carattere antiquario, storico e archeologico, con i risultati di un ampio e puntuale survey comprensoriale. Le dimensioni del quadro archeologico desunto sembrano indicare una produzione vinicola rilevante, tale da influenzare in modo sensibile gli assetti sociali, la cultura materiale e l’economia della zona".
L’importanza di questo progetto sta nell’interesse attribuito all’analisi dei palmenti che fino ad oggi mai avevano ricevuto tanta attenzione da parte degli archeologi e che assegnano al nostro territorio un primato antichissimo nella produzione vitivinicola. I ritrovamenti archeologici della Montagna di Licata testimoniano la configurazione, durante il IV secolo a.C., di un paesaggio caratterizzato da insediamenti rurali sparsi, a carattere agricolo, probabilmente in un momento in cui il comparto si trovava sotto l’influenza cartaginese.
Considerando l’importanza che il comprensorio rivestiva dal punto di vista agricolo e soprattutto vitivinicolo, Amato avanza l’ipotesi che, almeno nel IV secolo a.C., il licatese facesse parte di quella chora agrigentina vantata dagli autori antichi per l’eccellente qualità dei suoi vigneti.
Una copia del volume intitolato "Archeologia della Vite e del Vino" è stato donato dal dott. Fabio Amato alla Biblioteca Comunale di Licata.
Scoperto a Licata un intonaco affrescato con teorie di santi
Continua l’attività di salvaguardia, tutela e valorizzazione dei beni culturali svolta dall’Associazione Archeologica Finziade che, pochi giorni fa, ha reso noto, sul settimanale agrigentino "L’amico del Popolo", la notizia della recente scoperta, all’interno della chiesa rupestre di San Calogero, di tracce di intonaco dipinto ad affresco per le quali, a causa del precario stato di conservazione, non è ancora possibile assegnare una datazione certa.
Sono stati Fabio Amato e Maurizio Cantavenera, rispettivamente Presidente e Vicepresidente dell'Associazione Finziade, i prima a scoprire il dipinto raffigurante il volto del monaco abate.
Da anni erano in cerca di possibili tracce d'affresco sulle pareti del complesso di San Calogero, convinti che una chiesa rupestre così importante doveva aver conservato una qualche preziosa testimonianza del suo passato religioso. E così, approfittando del crollo dello strato di intonaco più recente, si sono accorti che, al di sotto di esso, si conserva ancora (in parte) un secondo strato di intonaco sul quale si intravedono pitture lineari di colore rosso. Dopo numerose ricognizioni sul posto, osservando attentamente e fotografando quei segni, si è finalmente arrivati a distinguere un’immagine raffigurante il volto di un monaco con ciuffi di capelli sulle tempie e sulla fronte, che secondo confronti stilistici potrebbe essere riferibile all'iconografia di San Calogero, un monaco eremita, o forse a Sant’Antonio Abate, il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
Allo stato attuale sono in atto fenomeni di crollo degli intonaci superficiali in cemento che, a diretto contatto con l'intonaco affrescato, rischiano di provocare il distacco delle preziose pitture.
Si attenderà qualche mese prima che la soprintendenza si pronunci sull’interpretazione e su un’eventuale datazione del dipinto; nel frattempo il compito dell’Associazione Finziade sarà principalmente quello di adoperarsi affinchè vengano messe in sicurezza le porzioni di intonaco che, senza un adeguato intervento di consolidamento, rischiano di perdersi per sempre.
Narrano le fonti che sull’isola di San Nicola a Licata esisteva una Chiesa denominata "Ecclesia Sancti Nicolai de Insula" dedicata al Santo protettore di marinai, naviganti e ancore. Della Chiesa però non è mai stata ritrovata nessuna traccia e per questa ragione alcuni storici ne hanno addirittura negato l’esistenza.
I fondali attorno l’isolotto di San Nicola erano già stati oggetto di scavi negli anni ’80 da parte della Soprintendenza di Agrigento che recuperò importanti reperti archeologici e redasse una pianta del sito. Dopo 30 anni le ricerche sono riprese su iniziativa del Gruppo Archeologico Finziade di Licata, con la direzione scientifica della Soprintendenza del Mare, facendo emergere interessanti dati archeologici che hanno consentito una più ampia comprensione del contesto in questione durante l’epoca medievale. Le varie campagne di scavo hanno permesso di individuare la presenza di numerose ancore di differenti epoche tutte orientate verso l’isolotto, a testimonianza di un attracco delle imbarcazioni antiche all’isola e dell’utilizzo della stessa come luogo di approdo costiero, forse un refugium.
Il dato più interessante comunque viene dalla sommità dello scoglio di San Nicola: seguendo le ancore, spiega Fabio Amato (responsabile degli scavi per il Gruppo Archeologico Finziade), siamo giunti sull’isolotto dove, grazie all’ausilio di un drone e all’esecuzione di ricognizioni di superficie condotte nel 2014, è stato possibile individuare, tra la vegetazione spontanea, una costruzione absidata inglobata all’interno di un grande complesso architettonico, composto da ambienti e cisterne per la raccolta delle acquee meteoriche. Le immagini aeree inoltre hanno evidenziato in modo chiaro e ineluttabile la presenza di una banchina scolpita nella roccia, oggi sommersa e ricoperta dalla vegetazione marina. I dati relativi a questa nuova e importante notizia archeologica, sono stati presentati a Licata durante un convegno tenutosi al teatro Re di Licata, alla presenza del Soprintendente del Mare, Sebastiano Tusa, attualmente Assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana. A distanza di quattro anni la scoperta è stata pubblicata sulla rivista Sicilia Archeologica con un articolo a firma di Fabio Amato. L’interesse che il sito sta suscitando è uno dei motivi principali che spingerà a dirottare da qui ai prossimi anni le ricerche che il G.A. Finziade e la Soprintendenza del Mare svolgono, grazie alla fondamentale sponsorizzazione della Cuttitta s.r.l. La speranza è quella di riuscire a trovare dati ancora più confortanti che permettano, con estrema esattezza, di ricostruire la cronologia di vita di questa porzione di territorio e quella di avviare dei percorsi di valorizzazione dei resti archeologici individuati, rispolverando il progetto di costituzione di un area marina protetta inseguito da diversi anni da molte associazioni operanti a Licata.